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Posts Tagged ‘adam zagajewski’

Le parole di Pierluigi Cappello hanno affascinato e commosso il pubblico di dire poesia 2013, lasciando un segno profondo nella storia della rassegna.

Introdotto dall’amico e poeta Maurizio Casagrande, Cappello ha raccontato le suggestioni che lo hanno condotto, adolescente, a leggere e a scrivere poesia, per poi recitare una serie di testi tratti sia da Assetto di volo sia da Mandate a dire all’imperatore, i suoi due libri andati esauriti nel piccolo punto vendita di Palazzo Leoni Montanari.

Pubblichiamo vartie foto della lettura e dei momenti che l’hanno preceduta e seguita. La prima galleria di immagini è di Silvio Lacasella, che ringraziamo.

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Comunicato Stampa

 

 

Il poeta di Gemona del Friuli (UD), sarà ospite mercoledì 17 aprile a Palazzo Leoni Montanari per il terzo appuntamento della rassegna promossa da Comune di Vicenza – Assessorato alla Cultura e Intesa Sanpaolo

DIRE POESIA “TORNA” IN ITALIA CON IL

FRIULANO PIERLUIGI CAPPELLO

 Considerato uno dei più grandi poeti italiani contemporanei,

Cappello ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti tra cui il Premio

Viareggio-Rèpaci. Introduce la serata il poeta, critico

e saggista padovano Maurizio Casagrande

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Pierluigi Cappello (dx) con Maurizio Casagrande

Pierluigi Cappello (dx) con Maurizio Casagrande

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(Vicenza – 12.04.2013)  –  Dopo l’appuntamento con il canadese Barry Callaghan, dire poesia 2013, il mosaico di incontri con i nomi di spicco della poesia nazionale e internazionale contemporanea promosso dal Comune di Vicenza – Assessorato alla Cultura e Intesa Sanpaolo, “torna” in Italia e lo fa ospitando uno dei nostri più grandi poeti contemporanei, il friulano Pierluigi Cappello. Cappello, che con i propri versi incontrerà il pubblico mercoledì 17 aprile a Palazzo Leoni Montanari (ore 18.00), è uno di quei poeti che vive nelle sue opere l’esperienza del “doppio”, scrivendo in friulano e in italiano, per dare vita a “un mondo che va cantato, nella sua prepotente e sensitiva natura, nell’eco delle voci e nell’ombra dei volti e nella traversia delle cose che contano, con trasporto amoroso e con tenace patire”, come recitano le motivazioni con cui gli è stato assegnato il prestigioso Premio Viareggio-Rèpaci nel 2010. Nelle sue liriche la memoria diventa un binario fondamentale da percorrere, priva però di nostalgia, ma che assume la forza del ricordo lucido da investigare e in cui scavare, per trarne insegnamenti ed esperienza. Un’esperienza che talvolta si fa dolore, dello spirito e della carne, una condizione che per Pierluigi Cappello è divenuta dura realtà, dopo che nel 1983, a soli 16 anni, un maledetto incidente lo ha costretto su una sedia a rotelle.

Cappello, che attualmente è impegnato in un’intensa attività artistica e di divulgazione della poesia contemporanea anche nelle scuole e nelle università, sarà introdotto dal padovano Maurizio Casagrande, autore di saggi critici, recensioni, interventi, racconti e liriche apparsi su numerosi periodici e riviste, e già ospite nella sezione “Off” dell’edizione 2011 di Dire poesia.

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Dire poesia 2013 è un progetto del Comune di Vicenza – Assessorato alla Cultura e Intesa Sanpaolo, in collaborazione con il Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati e il Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e con L’Officina arte contemporanea di Vicenza, per la cura di Stefano Strazzabosco.

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Pierluigi Cappello è nato a Gemona del Friuli (Udine) nel 1967, ma è originario di Chiusaforte dove ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza. Attualmente vive a Tricesimo, dove è impegnato in un’intensa attività artistica e di divulgazione della poesia contemporanea anche nelle scuole e all’università. Con altri poeti della sua regione ha fondato nel 1999 e ha diretto per qualche tempo la collana di poesia “La barca di Babele” che, edita dal Circolo Culturale di Meduno, accoglie e diffonde autori significativi di area veneta, triestina e friulana. Ha pubblicato i seguenti libri di poesie: Le nebbie (Campanotto, Pasian di Prato 1994 e 2003), La misura dell’erba (Gallino, Milano 1998), Amôrs (Campanotto, Pasian di Prato 1999), Il me Donzel (Boetti, Mondovì 1999; premi Città di San Vito al Tagliamento e Lanciano-Mario Sansone), Dentro Gerico (Circolo Culturale di Meduno, Meduno 2002). Con Dittico (Liboà, Dogliani 2004) ha vinto il premio Montale Europa. Assetto di volo (Crocetti, Milano 2006), che riunisce gran parte dei suoi versi, è stato vincitore dei premi Pisa (2006) e Bagutta Opera Prima (2007). Nel 2008 ha pubblicato la sua prima raccolta di prose e interventi intitolata Il dio del mare (Lineadaria, Biella 2008). Nel maggio 2010 pubblica Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, Milano 2010), col quale vince il premio Viareggio-Rèpaci. Sue poesie sono inoltre apparse in numerose riviste e antologie. Ha tradotto in friulano, tra gli altri, Vicente Aleixandre, Arthur Rimbaud, Carlos Montemayor; il suo ultimo lavoro di traduzione è Rondeau. Venti variazioni d’autore (Forum, Udine 2011). Nel 2012 il presidente Giorgio Napolitano gli ha conferito il prestigioso premio Vittorio De Sica.

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Maurizio Casagrande è nato a Padova nel 1961 e insegna Lettere nelle scuole superiori. Dopo la laurea in Filosofia ha maturato interesse per la letteratura e la poesia occupandosi, in sede critica, di poeti e scrittori contemporanei. I suoi scritti – saggi critici, recensioni, interventi, racconti, liriche – sono apparsi su numerosi periodici e riviste, quali Atelier, La Battana, Tratti, La Clessidra, Madrugada, L’Ippogrifo, Il Gabellino, Voltri Oggi, AltroVerso, Oltre, Yale Italian Poetry, Hortus, Daemon. Suoi contributi, inoltre, sono presenti nei volumi Tomizza e noi (Atti della seconda edizione del Convegno di studi su Fulvio Tomizza, Umago 2001), Da Rimbaud a Rimbaud (Il Ponte del Sale, Rovigo 2004), I Surrealisti francesi (Stampa Alternativa, Viterbo 2004). È membro fondatore dell’Associazione per la poesia “Il Ponte del Sale” di Rovigo, per la quale ha curato nel 2006 il libro di interviste In un gorgo di fedeltà. Dialoghi con venti poeti italiani (con fotografie di Arcangelo Piai). Nel gennaio 2011 è uscito il suo primo libro di poesie, Sofegón carogna (prefazione di Luigi Bressan, Il Ponte del Sale, Rovigo). Per le edizioni “Cofine” di Roma sta lavorando, con Matteo Vercesi, ad un’antologia di 16 poeti in dialetto del Veneto, a cavallo fra XX e XXI secolo.

 

L’ingresso a tutti gli appuntamenti di Dire poesia è libero, fino ad esaurimento dei posti disponibili.

Ad ogni appuntamento, l’artista Giovanni Turria de L’Officina Arte Contemporanea stamperà una plaquette numerata con un inedito dei poeti, da distribuire  gratuitamente al pubblico. 

Nei luoghi delle letture saranno inoltre disponibili i libri degli autori ospiti di Dire poesia.

Per informazioni:

Assessorato alla cultura del Comune di Vicenza tel. 0444.222101

Gallerie d’Italia – Palazzo Leoni Montanari tel. 800.578875

Blog > https://direpoesia.wordpress.com/

www.comune.vicenza.itwww.palazzomontanari.com

 

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Informazioni per la stampa e accrediti:

Ufficio Stampa > CHARTA BUREAU

Antonio Tosi 349.5384153 – ufficiostampa@charta-bureau.it

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Pubblichiamo, per gentile concessione degli Autori, due poesie di Fabio Masetti, vincitore del poetry slam 2013, e due di Delia Fraccaro, seconda classificata. Le foto in fondo ai testi sono di Simone Garbin, che ringraziamo.

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Fabio Masetti

vivo dove fu kappler

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Vivo in via tasso,
al 155
negli uffici dove fu,
kappler l’assassino,
nello stesso letto, io
ironia della sorte
da trent’anni romano, io
col mito resistente
col nonno partigiano in liguria
bella ciao come ninna nanna
ora ci dormo e ogni sera
chiudo gli occhi e torno al ’43,
con mio padre in fasce,
come adesso che scrivo,
guardo il muro e penso
la sorte che sa persistere
che muta in memoria l’ironia
incisa sui muri scampati
rimbombano al loro abbattersi
come un’eco che non spegne
le scritte sulla calce riverberanti
come voci scordate urlano i solchi
col il favore del caso trasmettono
come dna l’orrore concatenato
come fossero proteine, le parole,
geni urlanti dagli occhi rapidi,
increduli, sbarrati invocano
una madre, la sua nenia
la ninna nanna implorano,
con gli occhi un qualcuno
che continui a raccontare
la resistenza, figli, la resistenza,
per chi non può più ricordare
la resistenza, figli, la resistenza

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topi nella nuvola elettromagnetica di dati

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cammino nella nuvola elettromagnetica di dati
ubiqua interfaccia pre.senza
ma so ch’è un sogno, non ne esco ma è un sogno
non mi muovo ma scorre, ogni cosa, attorno a me, scorre, come un flusso.

dove sono, non sono. dov’è la vita non so
ma so, d’improvviso, che non c’è libertà senza contatto
e ci resta solo la connessione chiusa di circuiti operazionali,
gli accendo e spengo manifesti della combinatoria astratta
senza vie d’uscita, priva della vertigine, potenza di calcolo che

sbanda, transiste e resiste, pura mistificazione algoritmica,
come una cavia nel labirinto circola tra le pareti mobili e bianche
smemore di nota significativa relazione statistica
utile comprova scienza umana
cammino sulla vita di chiunque,
come ridotta in salita
arranca, fatica. arranca e fatica
certifica un’altra morte discreta

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Delia Fraccaro

Se litigassi con la esse

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Se litigassi con la esse

Sarebbe sempre

Scossa scatto scoppio

Sputo di esse

Soprattutto con chi inizia per esse

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Se concordassi con la esse

Un patto di essequiete

Di quietessenza

Stipulerei trattati stracciati da esse inservibili

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Se praticassi più spesso la esse

Sarei

Serena sopita socievole

Mi sdraierei

Solo se sapessi scendere a essepatti

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Se scendessi a essepatti

Spiatterei i piatti spaccati per esse senza senso

Sperando solo che tutto esploda

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Se tutto esplodesse

Serebbe sempre la stessa storia

Stante il fatto che

Smarrita

Aspetterei di sbottar per una nuova esse

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Era inevitabile che

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Era inevitabile che finisse Così

Così presto

O forse è tardi

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Su fai presto che è tardi

Ma devo prima finire

Ma

Hai appena detto che era inevitabile che finisse

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Dissi questo ancora troppo presto

Ancora prima che tutto finisse

Per farlo finire prima

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Quanto prima?

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Quanto prima

Anche prima del previsto

Perché era inevitabile che si facesse tardi

Nonostante il tuo far presto per finire prima

Ma ormai è tardi

E sei fai presto

Finiamo prima

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Ancora pochi giorni e questo blog tornerà ad assopirsi, come un golem silente del web.

Intanto segnaliamo l’articolo uscito sul Giornale di Vicenza di ieri, 21 giugno 2012.

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Pubblichiamo anche uno dei testi letti allo slam dalla seconda classificata, Mara Seveglievich.

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LE RAGIONI DEL CUORE

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Le ragioni del cuore rosso cinabro glossy

sulle briciole del pane

secco dei miei capelli salepepe

si affollano come pettirossi,

ma scambiano il cuore

con la mente, becchettano e strappano

a sangue, a croste di pelle secca i fili

luccicanti della ragione.

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I palpiti della mente, le pulsazioni

blu ciano squassano il muscolo sbagliato,

che sobbalza e strilla emozioni

e imploso si contrae lasciando un rivolo di sangue

glauco, slavato e spento e spanto sul piatto

d’argento che regge la testa del Battista,

il tavolo anatomico apparecchiato e sparecchiato della

casa/morgue.

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Il corpo comprime l’affanno e ammaestra

la ridda delle sinapsi

tremulo incedendo nella carne stanca, nella febbre rapsodica delle mani

che non sanno più scrivere,

solo lasciare tracce di senso incerte su fogli nudi. Incolpevoli.

Ma va, crolla e tracolla, s’incaglia e risolleva spavaldo e protervo

anno dopo anno,

tailleur dopo tailleur,

trucco dopo trucco,

tacco dopo tacco,

nella danza elegante della guerra, di attacco e di trincea,

di accordi bizantini sottobanco.

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Così come in tutte le guerre,

quando naufraghi, reduci, profughi, esuli e relitti

trovano pace in fondo nella luna della sera

semibuia e fresca e garantita d’argento per l’eternità (pratico il dubbio),

nel vuoto che c’invade finalmente

e niente esiste più se non lo sbaffo nei

cuori rosa mat

(da ripassare ogni tanto, meglio tenere in borsetta o nella tasca

interna della giacca – sul cuore – un rossetto)

degli altri, i viaggiatori della vita.

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2 giugno 2012

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Valeria Mancini ha vinto la prima edizione dello slam di dire poesia 2012.

Pubblichiamo uno dei testi che ha letto nella Loggia del Capitaniato, in omaggio alla vincitrice e ai suoi estimatori:

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IO SONO LA MADRE

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Io sono la Madre. Colei che tiene il fuoco acceso. Il nume tutelare.

Che accetta la legge di Zeus

portata in dono ai mortali:

«Saggezza attraverso il dolore».

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Io sono la Madre.

Colei che attende i figli e il marito per cena.

Che sbatte le uova con forza,

che accende il forno,

che alza la radio

per coprire il rumore dei pensieri.

Che sfiora il bicchiere preferito,

il segnalibro raggelato su una data,

le chiavi di casa con l’orso polare.

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I’m the Mother.

Colei che grida  «perchè?» alle Moire inflessibili.

Colei che sente il proprio viso deformarsi  nel pianto,

che si asciuga gli occhi

con un  tovagliolo

o il bordo del lenzuolo.

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Je suis la Mère

qui attend son petit fleur…

Colei che aspetta, che si lava il viso, che atteggia un sorriso.

Che ogni giorno accoglie i superstiti

che tornano a casa.

Chaque jour.

Che sa che un cavalluccio marino

non tornerà a cavalcare le onde.

Eppure sorride,  ricaccia le lacrime e attende.

Aspetta gli altri,

che ridono salendo le scale.

E sente che anche loro si dipingono un sorriso,

prima di aprire la porta.

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Ich bin die Mutter.

Colei che guarda i figli crescere.

Che guarda i figli degli altri

crescere.

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Passeggini e  bambini…

un pugno nello stomaco.

Dolore sordo all’ascolto

di piccole voci in giardino.

Non si regge un dolore così.

Eppure ti tempra e ti forgia,

mentre ti sbudella.

Ti sventra, ti eviscera

dolore argentato di pesce sventrato.

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Dolo, dolor, dolore: ha un suono dolce,

radice di dolcezza…

Dòleo: sento male, mi dolgo.

Sensazione spiacevole che affligge.

Dolenza, dispiacere,

desolazione, disperazione.

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Deflagrazione di bomba

scoppiata dentro.

Schegge di metallo

conficcate ovunque,

sparate a raggiera, disseminate.

Basta aprire un cassetto,

toccare un libro,

sfiorare una chiave.

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Oggetti tuoi,

che vivono senza di te,

e si consumano

e invecchiano.

E si coprono di polvere.

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Mentre tu,

fatto aquilone,

forse guardi dall’alto

questa distruzione.

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25.05.12

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Epitaffio ad Erotion

A voi, padre Frontone e madre Flaccilla, affido/ questa bambina, mia gioia e tenerezza,/perché la piccola Erotion non si impaurisca per le nere ombre/ e  per  la bocca mostruosa del cane infernale./ Se fosse vissuta ancora sei giorni/ avrebbe trascorso il sesto inverno./ Che giochi lietamente tra questi vecchi protettori/ e balbetti gioiosa il mio nome./ Non ricopra le tenere ossa una rigida zolla e tu,/ terra, non essere pesante per lei: non lo è stata lei per te.

(Marziale, Epigr. V, 34)

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Ecco altre immagini di Jesús Urzagasti e Sulma Montero a Vicenza, il mattino dopo la lettura ai Chiostri di Santa Corona.

Anche stavolta le foto sono di Silvio Lacasella e Stefano Strazzabosco.

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“Il Giornale di Vicenza” di ieri, martedì 19 aprile, ha pubblicato questa bella intervista al poeta Adam Zagajewski:  http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/245271__sotto_la_dittatura_comunista_la_poesia_dava_senso_di_libert/.

La pubblichiamo anche qui per gentile concessione di Fabio Giaretta.

Intervista ad Adam Zagajewski

di Fabio Giaretta

Per Adam Zagajewski i versi vengono da un altro mondo, difficile da definire, e inseguono la pienezza dell’essere. «Essi – ha raccontato il poeta polacco nel corso del quinto appuntamento di “Dire poesia”, tenutosi all’Odeo del Teatro Olimpico, – nascono dall’osservazione e dall’immaginazione. Questo è l’unico momento in cui ciò che è reale si unisce all’immaginazione. Credo che i versi provengano anche dall’infanzia. Scrivere poesie significa essere fedeli alla propria infanzia. Questo non vuol dire che noi non dobbiamo essere maturi, però possiamo essere maturi e bambini allo stesso tempo.  Un famoso filosofo ha detto che la bellezza è la pienezza dell’essere. Io credo che non riuscirò mai a raggiungerla, ma è qualcosa a cui tendo, è qualcosa che viene dal giorno, dalla notte, dall’immaginazione, dall’osservazione».

Zagajewski, poeta ancora poco noto in Italia, ma considerato una voce di assoluto rilievo a livello mondiale, oltre ad avere parlato a lungo delle sue opere dialogando con Stefano Strazzabosco, ha letto diverse sue poesie tratte per lo più da una recentissima raccolta, pubblicata dalle Edizioni del Leone e intitolata La ragazzina di Vermeer (pagg. 40, euro 6). Poesie che, come ha scritto Derek Walcott, “ti entrano dentro piano e piano” e che hanno conquistato il pubblico.

Alla fine dell’incontro abbiamo rivolto alcune domande ad Adam Zagajewski, con la preziosa collaborazione in veste di interprete di Silvia Calamati, che ringraziamo.

Quando e perché ha iniziato a scrivere poesie?

Quando avevo dieci, dodici anni, adoravo leggere. Penso che i libri siano la cosa più bella del mondo. Ho deciso che sarei diventato un romanziere. Però quando sono cresciuto e ho cercato di scrivere romanzi non mi riuscivano molto bene. Così ho deciso di cominciare a scrivere poesia e non c’era modo migliore per esprimere me stesso se non attraverso la poesia.

Quale funzione può avere oggi la poesia?

Nella società totalitaria e sotto il comunismo, la poesia ha giocato un ruolo molto importante. Ha dato alla gente un senso di libertà. Ad esempio, in Polonia, questo è successo negli anni Ottanta, quando avevamo le leggi marziali. Oggi è completamente differente. Adesso la poesia ha assunto un ruolo individuale per le persone. È come guardare un quadro o ascoltare Bach. Però ti fa sentire molto più umano.

La storia è un elemento molto importante nelle sue opere.  Quale rapporto c’è tra la poesia e la storia?

Non è una relazione amichevole, c’è un rapporto di antagonismo. I poeti tendono a parlare di sé in un linguaggio molto individuale, però ci sono dei momenti della storia in cui è molto difficile non prestare attenzione ai fatti storici.

Io ho vissuto a Gliwice, in Slesia, che è ad un’ora di distanza da Auschwitz. La città dove sono cresciuto era una sorta di succursale di Auschwitz. Non potevo ignorare una cosa del genere. Però scrivere poesie serve a liberarti. C’è qualcosa di storico nella poesia, perché questa è il movimento dell’anima e quando tu combini storia e poesia, permetti di trovare alla storia un modo più semplice per sopravvivere.

Lei è nato a Leopoli, città un tempo polacca, oggi in Ucraina, nel 1945, ma vi ha trascorso soltanto i primi quattro mesi della sua vita. Questo luogo però ha assunto un ruolo centrale nella sua opera…

Ho vissuto a Leopoli solo quattro mesi per cui non ho nessun ricordo di questa città. Però, dopo che la mia famiglia è stata espulsa e ci siamo trasferiti altrove, i miei famigliari parlavano sempre di Leopoli ricordandola come un posto bellissimo. Credo che tutti abbiamo un po’ l’idea di un’età dell’oro, di un tempo, di un luogo in cui tutto era paradiso. Buona parte della mia opera parla di questo sogno che non c’è più. Quella che per la mia famiglia è stata una terribile perdita, per me è stato un enorme dono: una città si è trasformata in un sogno. Leopoli è per me come Atlantide. Atlantide era un luogo bellissimo perché non è mai esistito.

Una delle poesie che ha letto, Una mattinata a Vicenza, dedicata a Brodskij e a Kieslowski, è ambientata a Vicenza. Può raccontarci com’è nato questo testo?

Questa poesia ha una genesi molto precisa. È stato nel giugno del 1997. Penso che fosse il mio compleanno, il 21 giugno, il giorno più lungo dell’anno. Io ero a Venezia dal giorno prima, e il grande poeta russo Brodskij era stato sepolto la seconda volta. Due volte perché era morto nel gennaio del 1996, ma la moglie aveva deciso di spostare i suoi resti nell’isola di San Michele, perché Brodskij amava profondamente Venezia. Riuscì a portare la salma nell’isola di San Michele nel giugno del 1996. Il giorno successivo a questo secondo funerale, insieme a mia moglie, sono venuto a Vicenza. Era una bellissima giornata di sole e per me è stato un fortissimo contrasto tra l’enorme sofferenza che avevo dentro e la bellezza della giornata. La poesia racconta questo contrasto. Per quanto riguarda Kieslowski, il famoso regista del Decalogo, era un mio amico ed è morto nello stesso anno.

Che ricordo ha di Kieslowski?

L’ho conosciuto cinque anni prima che morisse. Gli volevo molto bene. C’era un’incredibile onestà in lui. Quando l’ho conosciuto era famosissimo, ma questo non lo interessava. Era una persona bellissima, molto modesta. Era un uomo che si faceva tante domande, voleva sapere. Ogni suo film è come un microscopio puntato sull’animo.

Alcuni critici hanno detto che la sua poesia insegue la metafisica della vita quotidiana. Si riconosce in questa definizione?

Da un certo punto di vista sono d’accordo. Io sono interessato alle cose che appartengono alla vita quotidiana. Però in mezzo a queste cose ci sono sempre dei momenti che trascendono le cose semplici di tutti i giorni. A me interessa questo rapporto tra qualcosa che è ordinario e che nello stesso tempo può diventare straordinario.

Un verso della sua poesia “The voice” dice: “Quello che canto, è quello che non parla”. Cosa intendeva dire?

La musica nella poesia nasce dal silenzio, però è un silenzio ricco, che parla.

Lei ha affermato che “La poesia cresce sul contrasto ma non lo supera”. In che senso?

Perché la poesia non è la dialettica di Hegel: tesi, antitesi, sintesi. Le contraddizioni rimangono. Non solo la poesia, ma ogni essere pensante scopre che ci sono delle contraddizioni. Le contraddizioni sono molto interessanti.

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come Adam Zagajewski.

Documentiamo il privilegio.

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Pubblichiamo l’inedito che ci ha mandato Adam Zagajewski e che, debitamente torchiato all’Officina, sarà distribuito a quanti interverranno alla lettura di martedì 12 aprile (alle 18.00) presso l’Odeo del Teatro Olimpico:

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Il fiume nero

 di Adam Zagajewski

 

Un fiume nero scorreva per il parco.

Più in là si estendevano giardini insensibili

e le trecce folte delle siepi.

Là, dove cantavano i merli, un tempo c’era

la filiale del campo di Auschwitz, e sotto l’erba

furono sotterrate le bende dell’ospedale russo;

per questo il prato era gonfio, alto.

Nel cielo scorrevano senza fremito

alianti innocenti e cadeva la pioggia,

leggera, spensierata come una lacrima di gioia.

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Traduzione di Krystyna Jaworska

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