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E dunque in un’intervista lucida come una scarpa da uomo nera appena spazzolata Edoardo Sanguineti parla del corpo, una delle mie ossessioni di lettrice di poesia.
Il corpo nella poesia?
Il corpo della poesia?
Il corpo per la poesia?
O anche la poesia per il corpo?
Il corpo oggetto di poesia e/o una poesia per il corpo oltre che per lo spirito?
Non fa anche vibrare, sobbalzare, tendere, distendere, soffrire, godere il corpo una poesia?
Non lo fa diversamente se letta sulla pagina, o ascoltata dalla voce dell’autore, o in lingua originale senza capire nulla, o in traduzione letta dal traduttore, o recitata da un attore, o letta con piglio attoriale dall’autore (Dire poesia ci ha sventagliato davanti agli occhi e alle orecchie l’intera gamma)?
Non ci fa trattenere il respiro, non produce piccole contrazioni muscolari, spostamenti sulla sedia, distensione o rannicchiamento di gambe sul divano di casa o sul sedile di un treno?
Troppi punti di domanda?
O il problema è che corpo e spirito sono una cosa sola, come forma e contenuto?
Mara Seveglievich
Sto abbandonando Roma
polvere palpitante divenuta città
volevo dire: sto lasciando e dico:
abbandonare invece di lasciare
che sa troppo di lisciva e di sciare, come
direbbe l’amico di una donna chiamata: Speranza!
Appena detta questa frase nel vuoto del bus
si trasforma in un’altra:
sto abbandonando la vita?
Incendiaria polvere palpitante
lascio alle mie spalle
il corpo di una dormiente distesa,
città senza confini: “Mi sembra
di vedere il suo corpo pulsare
respiro che prolunga la notte incendiata,
fuoco per tanti secoli ancora per tutti i secoli
fecondati dal suo fiume mestruale…”
Corpo della notte illuminata dall’interno.
Abbandonare la vita? “La morte
è solo un fantasma” mi ha detto una ragazza
dagli occhi chiari di nome Daìna, seduta
davanti a me parlandomi del paradiso di questa
terra. Era l’ora! E come le respiro le sue parole
quanto mi consumano nel loro fuoco!
Sento il mio corpo come una sedia di marmo,
tento di impiombarmi al suolo, contro me stesso,
fatico a liberarmi delle mie ferite pietrose,
ma trionfo, infine, ma esco
con le scie luminose del crepuscolo,
lascio le stanze della fame, con questo verbo
adesso: scivolo via, come il piccolo torrente
del mio sangue scivola giù dal finestrino:
tornerò, sto già tornando, anch’io polvere
fatta corpo, a un milione di gradi di fusione,
palpitazione, sonno di fecondità, sto
ritrovando la via, la forma della città
che ha un cuore sottoterra, polvere di sangue,
scivolo in tutti i suoi cunicoli e poi volo
verso il mio volto con una piuma
sopra le labbra, è un vento che mi conquista
che mi trascina dentro la sua cintura e approdo
infine in una stanza rotonda, la stanza della nascita,
dove la brace viene guardata tutta la notte,
al centro, e alle ore giuste l’usignolo
canta le lodi delle sue uova.
Un medico, poco fa, mi ha detto: “Lei
è sano come un pesce”, ho cominciato a ballare e
la notte dei fuochi è arrivata dentro il ventre di Lei
che mi stringe, non mi abbandona. Queste
parole sono qui, adesso, e il foglio non è più un foglio
è una bocca e ripete: la morte è solo un fantasma!
Con quale facilità e leggerezza lo scrivo:
la morte è solo un fantasma, come
per liberarmi da un insetto lievemente velenoso
posato sulla mia guancia, ora vi aggiungo un gesto,
prendo un libro che odio, intitolato: “Gli addii”,
e lo getto nel fuoco.
Lei. Roma, 26.4.80 – 4.10.81
da L’Aria della fine ora in Tutte le poesie, Garzanti, 2009
Ciò che rimane per sempre
incomprensibile è che la natura
(e per natura lui intendeva: l’universo)
diventi comprensibile. Ciò che è
ogni volta incomprensibile è la poesia
(e per poesia s’intende: il linguaggio poetico)
quando rovescia l’ordine delle attese
diventa comprensibile.
Ieri al centro del bosco una fontana gelata
(e per fontana gelata intendo: ingabbiata
da stalattiti di ghiaccio).
Oggi dal bosco che la circonda gocciolante
esce l’estate piena che ti stringe con le sue foglie
la fontana di ghiaccio è un fantasma
che taglia: è la poesia
a dire la fontana invisibile
(o visibile sopra uno schermo tenuto nascosto)
anche ora rimane prigioniera del ghiaccio
il momento che è insieme passato
e presente e futuro:
occorre prepararsi non farsi sorprendere,
vivere in anticipo,
questo dice la poesia.
Luciano Anceschi, 28.6.1981
da L’Aria della fine ora in Tutte le poesie, Garzanti, 2009
Complimenti…!
OSTACOLI
dal libro “Un sospiro per amore ed è subito poesia”
E’ sangue che esce
bagna il pane che
saziar non riesce
la bramosia
d’amare.
Sgorga ancora
ferita impressa
nell’oscuro cuore
tra le carni avvolto
eppur nel vuoto.
Scandisce la campana
il sole anc’oggi e’ calato
ancor un fiore appassito
un vecchio che lascia
il tempo, bimbi in attesa.
E’ puro, rosso
e’ sangue
tramonto
o splendida rosa
tutto cio’ per l’amore.
© 2008 – 2011 Stefano Tosin
Sono venuto all’ultimo incontro di Dire Poesia con Ida Vallerugo. Sono venuto con un certo timore, il precedente appuntamento con Adam Zagajewski era stato segnato dai problemi di amplificazione che ne avevano reso molto difficile l’ascolto.
Ida ha esordito in maniera timida e goffa, da persona a disagio davanti ad un pubblico, ma quando ha cominciato a recitare i suoi versi sono stato travolto dalle emozioni. La sua poesia ha la semplicità e la forza della poesia lorquiana, le sue “orazioni” laiche riescono a creare una empatia come pochi altri autori.
Io mi sono emozionato, ma credo di non essere stato il solo viste le ovazioni per niente rituali con cui i presenti hanno risposto alle sue letture. Grazie Ida!
E grazie Stefano che anche quest’anno ci hai saputo regalare un magico viaggio nel mondo della poesia contemporanea.
w.